venerdì, novembre 14, 2008

Se una vita si spegne


Era prevedibile. La sentenza della Corte di Cassazione, che dichiarando inammissibile il ricorso della Procura generale della Repubblica di Milano ha reso definitivo ed esecutivo il decreto della Corte d'Appello di Milano che autorizza il padre di Eluana a interrompere la nutrizione e l'idratazione, ha suscitato cori da stadio, da un lato, e pianti greci dall'altro.
Temo vi sia ipocrisia da entrambe le parti.
I sostenitori del trionfo della volontà di Eluana parlano di affermazione della libertà di rifiutare le cure; ma dimenticano che Eluana non può dire, qui e ora, se quelle cure (cioé alimentazione, idratazione, farmaci antiepilettici) le vuole ancora.
Tutto si basa sulla ricostruzione di una volontà "astratta" espressa sedici anni fa, da una ragazza di vent'anni, probabilmente sull'impulso emotivo del pietoso spettacolo di un amico finito in rianimazione.
Quanto quella volontà sia "concreta" e attuale non conta. Perché il caso Eluana serve solo a portare acqua ad una causa "progressista", ad una battaglia "di libertà", all'affermazione di un principio di libera scelta, in un caso in cui quella scelta non può essere manifestata da chi dovrebbe.
Anche gli altri, però, che gridano all'eutanasia di stato, non colgono nel segno: qui non si tratta di una persona cosciente e senziente che, al colmo della sofferenza fisica, chiede di essere "lasciata andare" e anzi accompagnata, senza dolore, alla morte. Né il decreto della Corte d'Appello di Milano né la sentenza della Cassazione autorizzano a sostenere che chiunque possa rivolgersi a un giudice per chiedere l'eutanasia, che nel nostro ordinamento non è ammessa, ed anzi è punita penalmente, come aiuto al suicidio.
Il punto è terribilmente semplice: c'è una giovane donna, in stato vegetativo permanente, che potrebbe non risvegliarsi mai o risvegliarsi domani, ma lo sa solo Dio, e una famiglia che vuole porre termine a questa vita "sospesa".
Il punto è che noi "sani", attualmente coscienti e senzienti, abbiamo una idea della vita e non sappiamo cosa veramente senta Eluana, cosa provi, se nel suo stato vegetativo abbia comunque un qualche pur flebile legame con la vita di fuori, se magari sogna qualcosa.
Forse più che difficile è impossibile stabilire il confine tra una vita puramente "biologica", come se la vita non fosse anzitutto biologica, e una vita da essere umano; e che comunque Eluana, non perché non parla, forse non sente, non comunica, rimane comunque un essere umano, con tutta la sua dignità di persona.
La scelta di Beppino mi ricorda un vecchio e bel film: "La scelta di Sophie"; che non abbia a pentirsi quando, dopo aver fatto del rispetto della (pretesa) volontà di Eluana la sua ragione di vita, si accorga, quando Eluana non ci sarà più, che non ha più alcuna ragione di vita.

giovedì, novembre 06, 2008

Un altro romanzo? Ma come e perché?

Vorrei scrivere un nuovo romanzo, dopo quello ormai lontano del 1999, pubblicato il 2004 (I fasti di Pompeo).
Ma sono consapevole che si scrive davvero troppo e forse si legge troppo poco.
Per questo sto essenzialmente leggendo, e nemmeno letteratura, a parte qualcosina di deaver, che è un ottimo (il migliore) professionista nel genere criminalistico.
La mia agrafia coincide con l'idea che bisognerebbe dire cose di cui ne valga davvero la pena, che raccontino un pezzetto di mondo e vita di valore universale, che aiutino chi legge a condividere e riconoscersi in ciò che leggono, e chi scrive a vincere, nobilitandolo, l'impulso narcisistico per cui, essenzialmente, si scrive.
L'altro ieri sono passato alla Feltrinelli della Galleria Alberto Sordi di Roma (ma la più grande è fornita, almeno a Roma, è quella di Largo di Torre Argentina), e mi ha colto un senso di spaesamento tra le tante copertine e dorsi di libri, tutti gli autori, i tanti titoli, le edizioni in brossura o economiche, le varietà di dimensioni.
Ecco, poter scrivere qualcosa che sia anche piccolo, ma in cui ogni parola sia cosa e abbia senso, e viva più di trenta secondi nell'attenzione di chi legge, e possa essere cercata e ricercata, e generi sempre qualche idea nuova, qualche spunto, qualche risposta in quello che dovrebbe essere il colloquio tra l'anima di chi ha scritto e l'anima di chi legge.
Può darsi che io sia poco ricettivo, o attraversi una fase di aridità, ma nessun titolo in questo momento, salvo i classici (che non vuol dire solo i classici-classici, ma anche Sciascia, Saramago, cioé i classici contemporanei), riesce a comunicarmi una voglia divorante di leggere letteratura.
Mi rifugio allora nella saggistica, soprattutto nella storia che in fondo è la madre della letteratura, perché è l'archetipo del racconto.
Chissà se dalla storia non possa nascere la voglia di raccontare qualche storia.